giovedì 15 dicembre 2011
Pietre Vive a Napoli - 17 dicembre 2011
lunedì 12 dicembre 2011
Ma voi gaudete?
domenica 11 dicembre 2011
Buon avvento...
un secolo di vita
che ascolta l'universo
la memoria del mondo
fin dalla creazione. L'uomo che nascerà
è un'eco del Signore
e sente palpitare in sé tutte le stelle.
Alda Merini
venerdì 2 dicembre 2011
Preparazione al Natale
martedì 29 novembre 2011
CVX DAY
martedì 22 novembre 2011
Costruttori di comunita'
Il modo con cui comunichiamo influenza la nostra capacita' di stabilire relazioni. Tuttavia per migliorare il nostro essere "costruttori di relazioni", occorre avviare un percorso individuale e comune all’interno del quale ciascuno si interroga sulla propria capacità di generare relazioni di qualità. Una comunità è il luogo dove è possibile costruire relazioni profonde. Il desiderio di comunità va però ricercato dentro di noi...
Domenica 4 Dicembre ore 16.30
lunedì 17 ottobre 2011
Animazione Giovanile...si parte!!!
venerdì 7 ottobre 2011
Tu e Dio
lunedì 26 settembre 2011
Sulle tracce di Emmaus
Carlo Maria Martini, Partenza da Emmaus, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi Religiosi
lunedì 12 settembre 2011
domenica 28 agosto 2011
Che cercate ?
Non è forse vero che in qualsiasi luogo e in qualsiasi cosa, su questa terra, finora hai cercato la felicità?
Però tutto questo non è stato in grado di rasserenare completamente il tuo cuore; tu ti sei reso conto che, allorché ti sei scelto come scopo la felicità terrena, ti sei imbattuto sempre nella delusione, hai trovato dei limiti, avresti voluto qualcosa di più e di più duraturo. Non ti sei forse accorto che ogni mezzo destinato ad uno scopo è limitato e che il suo limite è appunto la subordinazione ad uno scopo? [...] Anche i beni, non sono uno scopo, ma un mezzo e tu puoi e devi utilizzarli solo come tali. Se te li proporrai come uno scopo, allora non ti basteranno più.
Mettiti calmo e rifletti: quando, in definitiva, potrai essere pienamente felice? Lascia che la tua fantasia costruisca liberamente per te l'edificio della felicità che hai sognato: cerca di immaginarti tutto ciò che hai desiderato e chiediti: "e se ce ne fosse ancora di più? E se durasse più a lungo?" Se la tua anima non è ancora appagata, non hai raggiunto la tua felicità, il tuo scopo. E qualsiasi limite ti rimanga ancora da superare, sarà sempre un impedimento verso la perfezione della tua felicità. Ciò significa che tu desideri la felicità, ma una felicità senza limitazioni: infinita, eterna. Anche questo desiderio di felicità ha il proprio appagamento, vale a dire Dio infinito ed eterno.
(dagli scritti di Massimiliano Kolbe)
mercoledì 24 agosto 2011
La Bibbia nascosta
Il giovane muratore non aveva mai avuto molto interesse per questioni religiose, ma durante la pausa del pranzo cominciò a leggere quel libro.
Continuò alla sera, a casa, e per tante altre sere.
A poco a poco scoprì le parole che Dio indirizzava proprio a lui. E la sua vita cambiò.
Due anni dopo, l'impresa del muratore si trasferì per lavoro in Arabia.
Laggiù, gli operai condividevano piccole camerette.
Una sera, il compagno di stanza del muratore lo osservò mentre cominciava tranquillamente a leggere la sua Bibbia.
«Che cosa leggi?», gli chiese.
«La Bibbia».
«Uff! La Bibbia! Tutte balle!
Pensa che io, una volta, ne ho murata una nella parete di una casa vicino a Milano. Sarei curioso di sapere se il diavolo è riuscito. a farla uscire di là!».
Il giovane muratore, sorpreso, guardò il suo compagno.
«E se io ti facessi vedere proprio quella Bibbia?».
«La riconoscerei, perché l'avevo segnata».
Il giovane muratore porse al compagno la sua Bibbia. «Riconosci il tuo segno?».
L'altro prese in mano il volume e rimase turbato.
Era proprio la Bibbia che aveva murato, dicendo ai compagni di lavoro. « Voglio proprio vedere se uscirà di qui sotto!».
Il muratore sorrise. «Come vedi, è tornata da te».
Bruno Ferrero, Quaranta Storie nel Deserto
giovedì 18 agosto 2011
A nascondino
mercoledì 17 agosto 2011
DANZANDO IN COPPIA
sembra condannato alla pesantezza, penso
che dovrei volare come Perseo in un altro
spazio.
Non sto parlando di fughe nel sogno o
nell’irrazionale.
Voglio dire che deve cambiare il mio
approccio, devo guardare il mondo con
un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di
conoscenza e di verifica.
Le immagini di leggerezza che io cerco non
devono lasciarsi dissolvere come sogni della
realtà del presente e del futuro...
Italo Calvino, da "Lezioni americane"
mercoledì 10 agosto 2011
Spot Ass. giacomogiacomo
...sarà trasmesso dal 21 al 28 Agosto in 13 grandi stazioni questo spot dell'Ass. GiacomoGiacomo che in collaborazione con CVX ITALIA e LMS opera in Kenya con progetti socio-educativi.
lunedì 8 agosto 2011
mercoledì 13 luglio 2011
giovedì 23 giugno 2011
Tempo di scelte...
necessarie decisioni). L’instabilità genera ansia per il futuro e rende il presente gramo e amaro.
Riconosciamo di esserci trovati a vivere in un mondo e in un’epoca di tipica decadenza.
A me questo mondo e quest’epoca affascinano.
Proprio perché è il tempo della crisi, proprio perché non abbiamo un forte passato prossimo che ci
sostiene e il futuro è ancora immerso nella notte mentre il presente ci sollecita a viverlo così com’è senza prospettive, tutto è nelle nostre mani, tutto dipende da noi e dalla capacità che abbiamo, come singoli ma soprattutto come gruppi, di ritornare a sognare, immaginare, progettare. Noi non sappiamo come sarà il futuro, ma dobbiamo sapere come vogliamo che sia.
Per troppo tempo ci siamo assuefatti, ci siamo lasciati sopraffare da un’ingiusta impotenza (noi piccoli cosa possiamo fare! Non possiamo illuderci di cambiare le cose! ecc.); abbiamo preferito rifugiarci nel nostro piccolo mondo assaporando quelle piccole semplici cose che ci danno un minimo di sicurezza; abbiamo mortificato il respiro universale del nostro cuore e tutto ciò che è fuori della porta di casa nostra ci è diventato nemico-ostile. E contemporaneamente siamo andati
alla ricerca di modelli effimeri, abbiamo accettato la logica del “mordi e fuggi”, del “anche un solo
attimo di notorietà-apparenza”. Forse da un po’ di tempo c’è qualcosa che si agita, una coscienza
nuova, uno sdegno che diventa sussulto di dignità, la riscoperta del valore di saper dire “no”.
E ci viene in aiuto il profeta Isaia. «Sentinella, quanto resta della notte; sentinella quanto resta della
notte», diventa il grido della nostra attesa, il grido dell’ansia del povero. Siamo nella notte, sappiamo che la notte passa, desideriamo vedere la luce.
L’ultima scena di Napoli milionaria vede la donna sconfitta e abbattuta, un gesto d’amore gratuito che viene proprio da chi è stato sfruttato, una parola densa di dolore e di speranza: «Ha da passà ’a nuttata». Eduardo De Filippo realizza questa grande opera drammatica in una Napoli distrutta dalla seconda guerra mondiale, appena “liberata”. Questa parola non è espressione di un atteggiamento di passiva rassegnazione, porta in sé una potente carica rivoluzionaria. È il grido della speranza che nasce proprio dalla disperazione.
È vero, siamo ancora nella notte.
È vero pure che molto dipende da noi e dalle nostre scelte; le nostre mani, che accettano di “sporcarsi”, affrettano il giorno.
Crisi è passaggio, svolta, discernimento.
È questo il tempo favorevole per mettere in atto quegli strumenti che ci sono stati donati attraverso la spiritualità ignaziana. È questo il tempo in cui noi, con grande umiltà ma con grande coscienza che ciò che ci è stato donato non è per noi ma perché noi possiamo socializzarlo, ci dobbiamo fare “compagni” dell’uomo perché insieme possiamo “costruire il giorno”.
Certamente per noi sarà un impegno faticoso e forse anche doloroso ma se portiamo dentro la vita e vogliamo che venga fuori, accetteremo anche il dolore.
Qualche anno fa, scrivevo:
E così lentamente si scioglie
il grumo di pensieri e di sangue
e di un parto che sarà doloroso
finalmente avverto le doglie.
Inaridirono tutte le voglie
anni di silenzio esangue
ed il cuore chiuso ed ombroso
una voce inattesa ora coglie.
Guardo il cielo d’agosto al tramonto
quando il giorno non è già più qui
e la notte a fatica s’avanza
come guerra pur vinta, già persa.
Portiamo nel cuore questa certezza e accettiamo di “sprecare la nostra vita”.
P. VINCENZO SIBILIO S.J.
Fonte: Editoriale della rivista Cristiani nel mondo • GENNAIO-FEBBRAIO 2011
lunedì 20 giugno 2011
Il pellegrinaggio interiore.........
È questa la grande scoperta. Quello che mi è più intimo di quanto non sia io a me stesso (intimior intimo meo), è l'Amore personificato infinito, di infinita energia, che ci dà vita e impulso.
Pedro Arrupe SJ, Il pellegrinaggio interiore, Discorso ai giovani, Roma 11 dicembre 1980
martedì 14 giugno 2011
Laboratorio di formazione politica - Calascio
Qui è possibile trovare il programma dettagliato
Pubblicizziamo la proposta, indirizzata a giovani dai 20 ai 35 anni, nella nostra rete di relazioni. Per informazioni e contatti: giorgio.catena@gmail.com
giovedì 9 giugno 2011
....diario di Etty Hillesum
[...] Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose.
Si deve insegnarlo agli ebrei.
Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata. Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto.
Non possono farci niente, non possono veramente farci niente.
Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: con il nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, con il nostro odio e con la millanteria che maschera paura. Certo ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli.
Trovo bella la vita, e mi sento libera.
I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore.
La vita è difficile, ma non è grave.
Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di d’individualismo malaticcio.
Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. E’ l’unica soluzione possibile.
E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi.
Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra. »dal diario di Etty Hillesum....
mercoledì 1 giugno 2011
Davanti allo specchio
Gianfranco Ravasi, Il mattutino
Fonte: www.avvenire.it - 01.06.11
giovedì 19 maggio 2011
Acqua, La CVX Italia dice SI
martedì 3 maggio 2011
Pietre Vive - Si parte!
giovedì 28 aprile 2011
Incontro...
ha riempito le mie notti con frastuoni orrendi,
ha accarezzato le mie viscere,
imbiancato i miei capelli per lo stupore.
Mi ha resa giovane e vecchia
a seconda delle stagioni,
mi ha fatta fiorire e morire
un'infinità di volte.
Ma io so che mi ama
e ti dirò, anche se tu non credi,
che si preannuncia sempre
con una grande frescura in tutte le membra
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta.
E questa è la fede, e questo è lui,
che ti cerca per ogni dove
anche quando tu ti nascondi
per non farti vedere.
Alda Merini, Corpo d'amore. Un incontro con Gesù
martedì 26 aprile 2011
Auguri a Rosario sj
Ti Augura Ogni Grazia affidandoti il meraviglioso pensiero
di Don Tonino Bello "La Chiesa del Gembriule"
Gesù è diacono permanente, è servo a tempo pieno.»
sabato 23 aprile 2011
Maria, donna coraggiosa
Maria, donna coraggiosa |
venerdì 22 aprile 2011
Il “potere” di servire
La rinuncia cristiana ai beni della terra, invece, pur essendo fatta in vista della libertà, non solleva la stessa libertà a valore assoluto e a idolo supremo dinanzi a cui cadere in ginocchio. Il cristiano rinuncia ai beni per essere più libero di servire. Non per essere più libero di sghignazzare: che è la forma più allucinante di potere. Ecco allora che si introduce nel discorso l'importantissima categoria del servizio, che deve essere tenuta presente da chi vuole educarsi alla povertà. Spogliarsi per lavare i piedi, come fece Gesù che, prima di quel sacramentale pediluvio fatto con le sue mani agli apostoli, "depose le vesti".
Don Tonino Bello, Sui sentieri di Isaia
mercoledì 20 aprile 2011
La lotta necessaria
Poche volte si sente dire che l’arte è una lotta.
La lotta diventa di frequente una metafora dell’esistenza umana. E, in effetti, la vita è una lotta sin dalla sua origine e fino alla sua fine. Comincia con un rapporto d’amore, che esso stesso è una forma (anche rituale, ludica e stilizzata) di lotta. E’ frutto di un parto, che sebbene oggi giustamente si tende a vivere in maniera rilassata e fiduciosa rimane pur sempre una lotta fisica. La morte stessa è una lotta, nominata col termine, ancor più doloroso da evocare, di “agonia”, che significa appunto “lotta”. La riflessione sul mistero cristiano della Pasqua (morte e resurrezione) ha espresso un verso latino di straordinaria potenza: Mors et vita duello conflixere mirando (tradotto perde il suo ritmo e la sua intensità: “morte e vita si sono affrontate in un proigioso duello”). L’arco intero della vita, a sua volta, è denso di lotte, conflitti, litigi, dialettiche, confronti, scontri…
Sembra che le immagini di lotta appena citate rivelino solamente il negativo della vita. Falso. Forse un troppo facile irenismo ha fatto credere che tutto ciò che è lotta sia male, mentre tutto ciò che è armonia di benessere sia, appunto, bene. Falso. Abbiamo fatto scomparire il senso della lotta dalle nostre vite, narcotizzandole, svilendole, ammorbidendole.
Tutti i passaggi fondamentali di una vita, in realtà, implicano un confronto o con se stessi o con la realtà o con gli altri. Confronto significa anche radicalmente incontro. Si può forse dire, radicalizzando il discorso, che, senza scontro, non c’è incontro vero, profondo, coinvolgente.
La carezza è segno di un incontro solo se è profonda: altrimenti è passaggio di superficie, cioè, appunto incontro superficiale. Servirebbe solo a togliere la polvere. E invece ogni incontro (con la realtà, gli altri, persino Dio – almeno nella rivelazione ebraico-cristiana, cfr. la lotta di Giacobbe con l’angelo di Genesi 32, 23-33) vive di un inevitabile “corpo a corpo”. Esso, come avviene nel pugilato, implica sempre una forma di danza leggera, oltre che una disposizione alla fatica e alla resistenza. La danza è essa stessa una lotta, a sua volta. La vicenda di Billy Eliott ne è un esempio di grande efficacia. Il pugile è un orso ballerino, come dovrebbe essere ogni essere umano, in qualche modo.
La pace non nasce dal puro e asettico rispetto (respicere = guardare [senza toccare]): nasce invece da mani che, incontrandosi, si stringono con intensità; mani che sanno avvertire il peso e la consistenza di una stretta.
Ciò vale anche per l’opera d’arte. L’ispirazione migliore non nasce come un fluido mellifluo che scorre quieto dal cervello alla carta (o alla tela,…) tramite le mani. Nasce invece da un corpo a corpo con se stessi, la parole (i colori, i suoni, i materiali,…), i personaggi, le storie,…
Valgono per l’ispirazione artistica le parole bibliche di Geremia che descrivono quella profetica: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. [...]. Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!’. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.
Antonio Spadaro S. J. su BombaCarta
lunedì 18 aprile 2011
Il Crocifisso, scandalo e rivoluzione
Raffaele, Genova
Le tue parole rivelano l'imbarazzo del credente. Ho letto le reazioni più diverse, pro e contro, deliranti o intelligenti. Stupisce quando il crocifisso è difeso con forza da chi ne fa baluardo alla propria superiorità razziale o identità culturale. Sono persone pie, propense a crociate e roghi, o furbastre, attente ai propri interessi. Ai primi farebbe bene riflettere sul Grande Inquisitore di Dostoewskij; ai secondi giova rileggere i «guai a voi» di Gesù ai potenti. Faccio qualche considerazione che non aggiunga legna al fuoco delle polemiche, ma acqua per spegnerlo.
Dio non ama la croce, ma gli uomini. Per questo, piuttosto che crocifiggerne uno, si lascia crocifiggere lui. Non lui ha inventato la croce, ma il male del mondo, che lui tanto ama e vuole salvare. Il Crocifisso è il grande mistero del cristianesimo: «sdemonizza» Dio, mostrandone il vero volto. Egli non è padrone, legislatore, giudice e... boia; ma è tutto e solo amore per i suoi figli, cattivi e buoni. Non privilegia razze, culture o credenze; ha però un debole per maledetti e peccatori. La croce ci libera dalla falsa immagine di Dio, di uomo e di vita/morte. Dio è chi ama con un amore più forte della morte; uomo è non chi domina, ma chi si fa servo; la vita non è bene da salvare, ma dono da donare. La croce non è certo talismano o mezzo di dominio, religioso o culturale: è segno di un amore che rispetta tutti, partendo dagli ultimi, quelli che disprezziamo e, appunto, crocifiggiamo.
Veniamo alla croce nelle scuole e nei tribunali. Secondo i Vangeli, all'origine della croce c'è la scuola/chiesa che Gesù frequentò da piccolo a Nazaret. Lì, dopo la prima predica, «i suoi» cercano di ucciderlo. Alla fine il tribunale religioso lo giudica come bestemmiatore e quello politico lo condanna come sovversivo. Così Gesù finisce in croce. Tra due malfattori, che sono la sua corte. Uno di loro lo riconosce come Dio: è il primo teologo. Il secondo è il comandante del plotone di esecuzione: lo riconosce come giusto. Suo trono è il patibolo dello schiavo ribelle. Da lì, vicino a ogni lontananza da Dio, Gesù è solidale con ogni perduto. I suoi amici alla fine, preso coraggio, lo staccano dalla croce.
Questa storia dice cosa è la croce di Gesù. «Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente... Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli» (Natalia Ginzburg).
Circa poi l'astio tra clericali e anticlericali - specchio gli uni degli altri -, come prete mi propongo di essere più umano e meno clericale. Che il bel nome di Dio non sia bestemmiato per causa nostra! È bene non cercare il dominio sul mondo - grazie a Dio ci sta sfuggendo -, né avere il complesso della «cittadella assediata». Se il mondo non ci capisce e ci odia, impariamo noi a capirlo e amarlo, anche a costo di finire in croce. Concluderei con un suggerimento: più che imporre o deporre crocifissi dai muri, perché non ci proponiamo di deporre dalla croce tutti i poveri Cristi? E sono miliardi. Tutti quelli che noi del Primo mondo, cristiani e non, ci premuriamo di porre e mantenere in croce!
Silvano Fausti S. J.
Fonte: Popoli, 1 gennaio 2010
martedì 12 aprile 2011
Chi sono in dieci parole
Eppure è evidente a tutti che Erri De Luca ci sta narrando l’evento del «dono della Torah» alle tribù degli ebrei usciti dall’Egitto e chiamati a divenire popolo nel deserto, per poi entrare consapevolmente nella terra promessa. Questa immediatezza con cui il lettore colloca la vicenda nello spazio e nel tempo propri al libro dell’Esodo è significativa di quanto l’evento biblico fondante la fede d’Israele e il testo delle «dieci parole» faccia parte del nostro bagaglio culturale.
Così, con questa arguzia letteraria, De Luca ritorna a leggere - ma potremmo dire a riscrivere - il cuore di quel testo di Esodo/Nomi con cui aveva avviato nel 1994 la fissazione su carta della sua scalata nelle Scritture sacre. Un approccio alla Bibbia, il suo, da innamorato non credente ma attento alla fede degli altri e, soprattutto, alle parole che quella fede alimentano. E con questa passione quasi maniacale di scrutatore dello «sta scritto» - e con la sensibilità dell’alpinista che conosce ebbrezza e spossatezza di ascensioni e discese - l’autore costruisce il racconto attorno a un intreccio di identità che si illuminano reciprocamente.
L’interrogativo «Chi sono?» schiude le labbra di colui che quarant’anni prima aveva udito da un roveto ardente il Nome poi divenuto impronunciabile, quel «Io sono colui che sono», impoverito da ogni traduzione. Ed è l’identità di un popolo quella che viene a crearsi quando un’accozzaglia di «servi appena riscattati senza compravendita» assiste impietrita allo scolpirsi sulla roccia di parole che danno vita e indicano una strada buona ora e ancor più per le generazioni future.
Non è certo un testo di riflessione teologica o di approfondimento biblico, questo di Erri De Luca, ma una narrazione di stile sapienziale, una rilettura del messaggio di vita consegnato da Dio a Israele al Sinai, un’interpretazione capace di ridestare nel lettore echi di parole ascoltate e poi smarrite, ricostruzioni di vicende e «comandamenti» che oggi molti ritengono confinati negli anni infantili del catechismo, salvo poi ritrovarseli come pietre miliari di un vissuto quotidiano e perfino come fondazioni della costruzione di una società civile planetaria.
Sì, nel racconto biblico del Decalogo che narra Dio e dà identità a un popolo, anche il lettore contemporaneo può recuperare non solo brandelli di storie già note ma, più ancora, fili di senso per un’esistenza che, apparentemente così lontana dagli accampamenti nel deserto, si trova ogni giorno a far fronte a domande antiche come il mondo: Chi sono? Dove vado? Chi sono gli altri per me? Chi orienta il mio desiderio?
Enzo Bianchi
(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 19 marzo)
Una visione di Dio e del Diavolo
e gli aggettivi con cui vorrei descriverlo sono questi:
divertente,
sperimentale,
irresponsabile –
sulle frivolezze.
Non era un uomo che vorrebbe essere eletto al Consiglio
né impressionerebbe un vescovo
o un circolo di artisti.
Non era splendido, spaventoso o tremendo
e neppure insignificante.
Questo era il mio Dio che fece l’erba
e il sole
e i ciottoli nei ruscelli in aprile;
questo era il Dio che ho incontrato
in una vecchia cava colma di denti-di-leone.
Questo era il Dio che ho incontrato a Dublino
mentre vagavo per strade inconsapevoli.
Questo era il Dio che covò sui campi erpicati –
di Rooney – accanto alla statale Carrick
il giorno che i miei primi versi furono stampati –
io lo conobbi e mai ebbi paura
di morte o dannazione
e seppi che la paura di Dio era il principio della follia.
Il Diavolo
anche il Diavolo ho incontrato,
e gli aggettivi con cui vorrei descriverlo sono questi:
solenne,
noioso,
conservatore.
Era l’uomo che il mondo eleggerebbe al Consiglio,
sarebbe nella lista degli invitati al ricevimento di un vescovo,
assomigliava a un artista.
Era il tizio che scrive di musica sui quotidiani
andava in collera quando qualcuno rideva;
era grave su cose senza peso;
dovevi fare attenzione al suo complesso d’inferiorità
perché era consapevole di non essere creativo.
Patrick Kavanagh
Fiorire
Fiorire - è il fine ...
Colmare il bocciolo - combattere il verme -
ottenere quanta rugiada gli spetta -
regolare il calore - eludere il vento -
sfuggire all'ape ladruncola -
non deludere la natura grande
che l'attende proprio quel giorno -
essere un fiore, è profonda responsabilità.
lunedì 11 aprile 2011
SE
quando tutti intorno a te la stanno perdendo...
Se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te
tenendo, però, nel giusto conto i loro dubbi...
Se sai aspettare senza stancarti dell'attesa
o essendo calunniato non rispondere alle calunnie
o essendo odiato non dare spazio all'odio
senza tuttavia sembrare troppo buono
né parlare troppo da saggio...
Se sai sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni...
Se riesci a pensare senza fare dei tuoi pensieri il tuo fine...
Se sai incontrarti con il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori allo stesso modo...
Se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto
distorta da imbroglioni
che ne fanno una trappola per ingenui;
e guardare le cose per le quali hai dato la vita
distrutte, e umiliarti a ricostruirle...
Se in un sol colpo puoi rischiare tutto quanto hai avuto dalla vita e perderlo,
e poi ricominciare senza pentirti della tua partita;
Se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi
a sorreggerti anche quando sono esausti,
e così resistere quando in te non c'è più nulla
tranne la volontà che dice loro: "Resistete"
Se sai parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà
o passeggiare con i re senza perdere il comportamento normale...
Se non possono ferirti né i nemici né gli amici troppo premurosi...
Se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo...
Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
dando valore a ogni istante che passa...
Tua è la Terra e tutto ciò che vi è in essa
e - quel che più conta - tu sarai un Uomo, figlio mio!
venerdì 8 aprile 2011
Nelle tue piaghe nascondici...
1 Miktam. Di Davide.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
2 Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore,
senza di te non ho alcun bene».
3 Per i santi, che sono sulla terra,
uomini nobili, è tutto il mio amore.
4 Si affrettino altri a costruire idoli:
io non spanderò le loro libazioni di sangue
né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi.
5 Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
6 Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi,
è magnifica la mia eredità.
7 Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio cuore mi istruisce.
8 Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.
9 Di questo gioisce il mio cuore,
esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
10 perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
11 Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.
lunedì 4 aprile 2011
La Parola spezzata per tutti
Anche il linguaggio volutamente piano e pedagogico, capace di distillare gli elementi più consolidati dell’esegesi storico-critica e di fonderli con la lettura sapienziale propria della grande tradizione patristica e spirituale, rende quest’opera di Benedetto XVI particolarmente appetibile anche per il largo pubblico: un ragionare discorsivo che viene incontro alla sete di conoscenza e al desiderio di comprensione che è presente anche in molte persone lontane o marginali rispetto alla compagine ecclesiale. Ora, si tratta di un approccio fondamentale proprio per i capitoli conclusivi dei Vangeli, che trattano la passione, morte e risurrezione di Gesù: brani che affrontano da un lato il cuore dell’incontro-scontro tra la figura e la predicazione di Gesù e le istituzioni religiose giudaiche e l’autorità politica romana e, dall’altro, il nodo stesso dell’interpretazione degli scritti del Nuovo Testamento.
Semplice rielaborazione storica di eventi accaduti o non piuttosto riflessione interpretativa che riesce a coniugare l’esperienza vissuta dai primi discepoli con la fede della chiesa nascente? In questo senso alcuni critici dell’opera del papa finiscono per incespicare nelle loro stesse argomentazioni: non si può infatti invocare la «storicità» di alcuni brani evangelici per contrapporla all’interpretazione teologica della prima comunità cristiana di cui risentirebbero altri passaggi neotestamentari.
Non solo lo studioso, ma anche il lettore ordinario sa che l’intero Nuovo Testamento è stato scritto dopo la risurrezione di Gesù o, se si vuole, dopo la predicazione di questo evento sconvolgente ad opera dei primi discepoli. È quindi questo dato «di fede» a costituire da subito il criterio interpretativo di tutta la vicenda storica di Gesù. Questo non significa - e il lavoro di Benedetto XVI lo evidenzia con singolare efficacia - che la dimensione storica non abbia spazio nell’ambito della predicazione e dell’autocomprensione della chiesa, ma piuttosto che «l’incarnazione», il calarsi del Figlio di Dio nella condizione umana abbraccia non solo le debolezze della carne umana ma anche la fragilità di un annuncio non scrutabile esaurientemente alla luce dei soli dati storico-critici.
Per i cristiani non è decisiva innanzitutto la parola «Dio», bensì la conoscenza di Gesù Cristo, colui che ha «narrato Dio», come testimonia il prologo del quarto Vangelo. È attraverso la conoscenza di Gesù Cristo, della sua vita, delle sue parole, della sua passione, morte e risurrezione che si giunge ad aver fede e a conoscere il «Dio che nessuno ha mai visto». Sovente i cristiani, soprattutto nel recente passato erano istruiti intellettualmente su Dio, la sua esistenza, la sua provvidenza: erano credenti in un Dio attorniato da santi con cui avevano maggiore familiarità e di cui conoscevano le «storie», ma pochi tra di loro arrivavano ad avere fede in Gesù Cristo attraverso la conoscenza della sua vita e morte narrate dai Vangeli.
Benedetto XVI con questa sua rilettura di Gesù Cristo apre, forse come mai avvenuto prima, una conoscenza essenziale alla fede dei cristiani che non sono teisti, né in certo senso monoteisti, ma aderenti a un Dio unico che è una comunione di amore e che si è rivelato pienamente e definitivamente nella vita umana di Gesù Cristo suo Figlio.
La fede cristiana, allora, non è meno solida per il fatto di fondarsi non su una prova incontrovertibile - almeno secondo i criteri moderni - della risurrezione di Gesù, bensì sulla testimonianza di uomini e donne semplici ma divenuti «affidabili» per quanti ne hanno ascoltato la predicazione. Ammettere che la fede si basa non sull’aver visto o toccato con mano alcunché, bensì sulle umanissime parole e sui gesti concreti di persone «normali» dotate di risorse intellettuali e di patrimoni culturali più o meno ricchi, significa compiere il primo passo nella comprensione che la rivelazione, l’invito pressante all’amore rivolto da Dio al suo popolo e portato a compimento nella vita di Gesù e nella sua morte per gli altri «non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?... Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica (Dt 30,12-14)».
Con il suo Gesù di Nazaret, Benedetto XVI ha reso «vicina» questa parola.
ENZO BIANCHI
fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 2 aprile
Civiltà Cattolica sugli hacker
Così padre Antonio Spadaro, critico letterario e specialista di nuove tecnologie informatiche per conto della redazione del periodico gesuita, le cui bozze vengono riviste dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, distingue gli hacker chiaramente dai cracker, operatori di illegalità. Indagando i modelli di vita e di ricerca intellettuale hacker, fondati sulla creatività e la condivisione, padre Spadaro ne discute la compatibilità con una visione cristiana della vita.
"Senza paragonare indebitamente comunità hacker e comunità cristiana - sostiene padre Spadaro - i cristiani e gli hacker oggi, in un mondo votato alla logica del profitto, hanno comunque molto da darsi, come dimostra del resto anche l'esperienza degli hacker che fanno della loro fede un impulso del loro lavoro creativo".
Il termine hacker, ricorda il gesuita Spadaro, è ormai entrato nel vocabolario comune grazie al fatto che giornali e televisioni, ma anche film e romanzi, lo hanno diffuso ampiamente
riferendolo a un'ampia serie di fenomeni quale violazione di segreti, di codici e password, di sistemi informatici protetti e così via.
Nel caso di Wikileaks si è addirittura parlato di "hacker all'attacco del mondo", identificando in Julian Paul Assange, il suo fondatore, l'"hacker incendiario del web". In generale, dunque, si legge nell'articolo della "Civiltà Cattolica" si è imposto "il luogo comune per cui il termine hacker viene associato a persone molto esperte nel riuscire a entrare in siti protetti e a sabotarli o, addirittura, a veri e propri criminali informatici".
Parlare di etica hacker "può allora suonare persino ironico".
Perché allora se ne occupa la seriosissima rivista della Compagnia di Gesù? Sebbene ormai i media abbiamo imposto questa immagine degli hacker, in realtà i cosiddetti "pirati informatici" hanno un altro nome: cracker. Il termine hacker invece di per sé individua una figura molto più complessa e costruttiva, argomenta padre Spadaro.
"Gli hackers costruiscono le cose, i crackers le rompono (hackers build things, crackers break them)", afferma una delle citazioni riportate nell'articolo della "Civiltà Cattolica". Hacker dunque è colui, spiega la rivista dei Gesuiti, che "si impegna ad affrontare sfide intellettuali per aggirare o superare creativamente le limitazioni che gli vengono imposte nei propri ambiti d'interesse".
Per lo più il termine hacker si riferisce a esperti di informatica, ma di per sé, sostiene padre Spadaro "può essere esteso a persone che vivono in maniera creativa molti altri aspetti della loro vita".
"Quella hacker è, insomma, una sorta di 'filosofia' di vita, di atteggiamento esistenziale, giocoso e impegnato, che spinge alla creatività e alla condivisione, opponendosi ai modelli di controllo, competizione e proprietà privata. Intuiamo dunque come parlando in modo proprio degli hacker - aggiunge il gesuita - siamo di fronte non a problemi di ordine penale, ma a una visione del lavoro umano, della conoscenza e della vita. Essa pone interrogativi e sfide quanto mai attuali".
Non è difficile, pertanto, sostiene l'articolo della "Civiltà Cattolica", riconoscere l'intuizione di una "vita beata" nel codice genetico della visione hacker della vita, l'intuizione che l'essere umano è chiamato a "un'altra vita, a una realizzazione piena e compiuta della propria umanità".
Scrive sempre padre Spadaro: "Ovviamente l'hacker non è l'uomo dell'ozio e del dolce far niente. Al contrario è molto attivo, persegue le proprie passioni e vive di uno sforzo creativo e di una conoscenza che non ha mai fine. Tuttavia sa che la sua umanità non si realizza in un tempo organizzato rigidamente, ma nel ritmo flessibile di una creatività che deve diventare la misura di un lavoro veramente umano, quello che meglio corrisponde alla natura dell'uomo. Tom Pittman più volte si è espresso sull'illogicità dell'ateismo e si è professato cristiano, ma anche altre esperienze dimostrano che tra fede ed etica hacker si possono creare sintonie".
"Ad esempio - aggiunge - il linguaggio di programmazione Perl, creato nel 1987 dall'hacker Larry Wall, cristiano evangelico, è sì l'acronimo di Practical Extraction and Report Language ma in origine si chiamava Pearl e deve il suo nome alla 'perla di gran valore' trovata la quale un mercante vende tutto pur di comprarla, come racconta il Vangelo di Matteo". Conclude padre Spadaro: "Una tale etica hacker può acquistare persino risonanze profetiche per il mondo d'oggi votato alla logica del profitto, per ricordare che il cuore umano anela a un mondo in cui regni l'amore, dove i doni siano condivisi".
http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/04/03/news/civilt_cattolica_rivaluta_gli_hacker_hanno_fede_positiva_nell_informatica-14454606/