Cari amici, oggi la Chiesa celebra la III domenica di
Avvento detta “Gaudete”. E’ una domenica che vuole porre in evidenza un
sentimento specifico: il gaudio. Che cos’è il gaudium? E’ una forma di piacere,
di godimento che si riferisce pienamente anche alla dimensione dello spirito,
che coinvolge lo spirito in maniera profonda, radicale. E’ il gaudio.
Per questo il salmo responsoriale di oggi non è un salmo ma
è il Magnificat. Ed ecco un altro termine strano: il verbo magnificare, in
greco megalyno che significa allungare e allargare, ingrandire. Il
«magnificare» di Maria non è un semplice tessere lodi. Forse è vicino all’uso
inglese di magnification, cioè «ingrandimento». Maria sta dicendo l’indicibile:
«l’anima mia ingrandisce il Signore»! Nessun essere umano più «ingrandire» Dio,
che come scrive sant’Anselmo è l’essere id quo maius cogitari nequit, «del
quale non si può pensare il maggiore». Maria invece compie interiormente il
gesto di guardare con la lente di ingrandimento Dio che le si è fatto vicino e
sente dentro di sé che Dio è pazzescamente grande e la sua anima esulta
(agalliao) che il latino traduce con valde gaudeo. Ed ecco daccapo il gaudio.
Ma voi gaudete? Quando sentite che il vostro spirito esulta,
prova gaudio? Conoscete questa esperienza che è anticipo di paradiso,
intuizione del nostro reale destino eterno?
Maria dice di sì e dice anche perché è «gaudente»: perché il
Signore ha guardato all’umiltà della sua serva. Maria si è sentita guardata. E
si è sentita guardata non perché bella, attraente, interessante o importante.
Si è sentita guardata dall’alto (epi-blepo) proprio nella sua umiltà, termine
che in realtà (tapeinosis) significa «bassezza» (da cui in italiano: me
tapino!).
Se siamo importanti, influenti, belli è ovvio che abbiano
gli occhi addosso. E’ persino fastidioso a volte. Ma se siamo tapini no.
Riflettete: chi sono i nostri veri amici? Abbiamo veri amici? No, non sono
quelli con i quali ci divertiamo o facciamo chiacchiere interessanti. I nostri
veri amici sono coloro che ci conoscono nei nostri aspetti peggiori e ci
vogliono bene lo stesso.
Ieri in un suo tweet il cardinale Scola scriveva: «Quando si
è autenticamente amati il nostro essere si dilata e si muove più liberamente».
Com’è vero!
Maria ingrandisce Dio perché Egli ha guardato dall’alto la
sua bassezza. E’ tutto un gioco di sguardi in questo versetto. Ed è un
capovolgimento di ottica: L’occhio di Dio, pur essendo distante viene
ingrandito per il fatto che si è allungato a tal punto da vedere Maria molto in
basso.
Ed è tutto qui il mistero del Natale, amici miei! Il bambino
che nasce è Dio che si è catapultato dai cieli sulla terra non come il sovrano
del mondo, ma divenendo simile agli uomini nel grembo della bassezza di Maria.
In quel puntino.
Questo gesto è un ribaltamento dello sguardo, dicevo. Ciò
che è piccolo diventa enorme, cioè che è distante diventa vicinissimo. Dio
diventa carne della mia carne, ossa delle mie ossa, sangue del mio sangue. Da
qui l’esultanza di Maria, la gioia piena e il lieto annunzio cantati da Isaia,
la letizia di cui parla San Paolo.
E questo ribaltamento non lascia le cose come stanno. Isaia
lo aveva profetizzato dicendo chi sono i tapini: Isaia così parla di: miseri,
cuori spezzati, schiavi, prigionieri. Tradurre tapeinosis con «umiltà» rischia
di far perdere la forza di questa parole.
Ciascuno di noi vive povertà, bassezze. Ciascuno di noi ha
vissuto o vive «frane» interiori o esteriori che lo portano a scendere
dall’alto al basso. A volte persino con fragore. Vi siete mai sentiti «a
terra»? Manzoni nel suo Inno sacro “Il Natale” esprime questa condizione con
grande efficacia:
Qual masso che dal vertice / Di lunga erta montana, /
Abbandonato all'impeto / Di rumorosa frana, / Per lo scheggiato calle /
Precipitando a valle, / Batte sul fondo e sta;
/ Là dove cadde, immobile / Giace in sua lenta mole; / Né, per mutar di
secoli, / Fia che riveda il sole / Della sua cima antica, / Se una virtude
amica / In alto nol trarrà.
Ma in questo tempo non siamo solamente noi a essere come un
masso caduto dall’alto in basso. Sembra essere la nostra società, la nostra
Italia, la nostra europa ad essere in crisi. Chi darà «gaudio» al nostro mondo?
E chi sono oggi i più «tapini»?
San Paolo nella sua Lettera ai Romani sembra essere
consapevole del fatto che il mondo è sempre radicalmente in «crisi» e scrive di
una «ardente aspettativa» per cui «tutta insieme la creazione geme e soffre le
doglie del parto fino ad oggi». Questa immagine così natalizia del parto ci
induce a vedere il mondo in tensione di attesa, per cui «speriamo quello che
non vediamo» (Rm 8, 25). Celebrare il Natale significa partecipare di questa
attesa piena di luci e ombre, delusioni e speranze rinnovate.
Celebrare il Natale significa partecipare alla crisi e alla
speranza del mondo.
Il Natale è la festa di un’altra visione del mondo, una
visione fondata su valori che non sono quelli che hanno messo in crisi
l’economia, e che aiutano a vedere che c’è un cielo aperto sulle nostre teste.
L’immagine dei bambino Gesù che nasce a Betlemme non può essere confinata in
una devozione calda ma chiusa in stessa. Essa richiama immagini di oscurità
nelle quali brilla una luce. E questa visione è quella del manifesto del
cristianesimo, le «beatitudini», cioè le professioni di «gaudio»:
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati
voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete,
perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno
al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa
del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la
vostra ricompensa è grande nel cielo». (Lc 6, 20-23).
Che cosa, oggi, tiene accese le stelle sul nostro cielo, sul
cielo dell’Italia, che nel Natale possiamo immaginare tutta come un presepe?
Sono ancora impresse nella mente le immagini dell’alluvione
in Liguria. Ma accanto a queste ci sono rimaste impresse quelle dei cosiddetti
«angeli del fango». La «bomba d’acqua» ha fatto esplodere la solidarietà. Sono
quei giovani che tengono accese le stelle.
Lo hanno dimostrato gli «angeli del fango», e lo dimostrano i tantissimi
giovani impegnati nel mondo delle associazioni e del volontariato, così come
quei giovani di talento che stanno dando il loro contributo all’innovazione.
La complessa situazione che stiamo vivendo rivela, fra
l’altro, una crisi di «generatività». Il nostro è un Paese dove le persone
anziane sono tentate di entrare in competizione con i giovani. Chi ha lunga
esperienza cerca di perdere o nascondere la propria saggezza, oggi considerata
un disvalore, davanti alla «prestanza». L’anziano, invece di orientare,
formare, guidare, preferisce tenere in mano il potere, senza lasciare spazio ai
più giovani che fremono.
Essi, a loro volta, frustrati per l’impossibilità di
emergere, e considerati tali fino all’imbarazzante soglia dei quarant’anni e
più, rischiano di reclamare il loro posto nella società più per desiderio di
contare qualcosa più che per avere davvero qualcosa da dire. Si è perso il
discernimento tra saggezza e prestanza. Le generazioni entrano in competizione
tra di loro. Così la società diventa sterile, incapace di generare. La società
attuale ama la giovinezza come mito, ma non ama i giovani, i quali diventano a
loro volta indignados.
Il Natale allora è un momento favorevole per ripensare la
crisi di generatività dei nostri giorni. Il Figlio, «generato dalla stessa
sostanza del Padre», è divenuto simile agli uomini (cfr Fil 2,7). E’ stato
partorito da Maria, allevato così da crescere e fortificarsi in sapienza, età e
grazia davanti a Dio e agli uomini (cfrLc 2, 40.52) fino all’inizio di quella
che noi chiamiamo significativamente «vita pubblica». Oggi molti giovani vivono
una vita pubblica ancora nel «nascondimento» dovuto a una mancanza di ruolo.
Questo Natale, che celebreremo vivendo un tempo delicato per
il nostro Paese, sia per tutti gli uomini di buona volontà, e per noi in
particolare, un momento favorevole per riflettere sulla capacità generativa
della nostra società (e di ciascuno di noi qui) nei confronti dei più giovani e
di coloro che oggi vengono al mondo.
Sia la luce della stella cometa a guidare il cammino degli
uomini, la loro fantasia, i loro sogni, per insegnarci a non tenere la testa
bassa, nemmeno quando è buio.
Fonte: p. Antonio Spadaro SJ, direttore de "La Civiltà
Cattolica"
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