lunedì 18 aprile 2011

Il Crocifisso, scandalo e rivoluzione

La nota sentenza della Corte europea dei diritti umani sul crocifisso ha suscitato in me sentimenti contrastanti: trovo giusto che le scuole (e altri luoghi pubblici) si adeguino al fatto che il nostro non è uno Stato confessionale, però provo qualche brivido a immaginarmi il crocifisso tolto dai muri, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi. E anche provando a pensare a cosa direbbe Gesù stesso, mi vengono in mente due sue frasi molto diverse: «Quando pregate, fatelo nel segreto della vostra stanza», «Chi si vergognerà di me e del Vangelo...»
Raffaele, Genova

Le tue parole rivelano l'imbarazzo del credente. Ho letto le reazioni più diverse, pro e contro, deliranti o intelligenti. Stupisce quando il crocifisso è difeso con forza da chi ne fa baluardo alla propria superiorità razziale o identità culturale. Sono persone pie, propense a crociate e roghi, o furbastre, attente ai propri interessi. Ai primi farebbe bene riflettere sul Grande Inquisitore di Dostoewskij; ai secondi giova rileggere i «guai a voi» di Gesù ai potenti. Faccio qualche considerazione che non aggiunga legna al fuoco delle polemiche, ma acqua per spegnerlo.

Dio non ama la croce, ma gli uomini. Per questo, piuttosto che crocifiggerne uno, si lascia crocifiggere lui. Non lui ha inventato la croce, ma il male del mondo, che lui tanto ama e vuole salvare. Il Crocifisso è il grande mistero del cristianesimo: «sdemonizza» Dio, mostrandone il vero volto. Egli non è padrone, legislatore, giudice e... boia; ma è tutto e solo amore per i suoi figli, cattivi e buoni. Non privilegia razze, culture o credenze; ha però un debole per maledetti e peccatori. La croce ci libera dalla falsa immagine di Dio, di uomo e di vita/morte. Dio è chi ama con un amore più forte della morte; uomo è non chi domina, ma chi si fa servo; la vita non è bene da salvare, ma dono da donare. La croce non è certo talismano o mezzo di dominio, religioso o culturale: è segno di un amore che rispetta tutti, partendo dagli ultimi, quelli che disprezziamo e, appunto, crocifiggiamo.

Veniamo alla croce nelle scuole e nei tribunali. Secondo i Vangeli, all'origine della croce c'è la scuola/chiesa che Gesù frequentò da piccolo a Nazaret. Lì, dopo la prima predica, «i suoi» cercano di ucciderlo. Alla fine il tribunale religioso lo giudica come bestemmiatore e quello politico lo condanna come sovversivo. Così Gesù finisce in croce. Tra due malfattori, che sono la sua corte. Uno di loro lo riconosce come Dio: è il primo teologo. Il secondo è il comandante del plotone di esecuzione: lo riconosce come giusto. Suo trono è il patibolo dello schiavo ribelle. Da lì, vicino a ogni lontananza da Dio, Gesù è solidale con ogni perduto. I suoi amici alla fine, preso coraggio, lo staccano dalla croce.

Questa storia dice cosa è la croce di Gesù. «Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente... Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli» (Natalia Ginzburg).

Circa poi l'astio tra clericali e anticlericali - specchio gli uni degli altri -, come prete mi propongo di essere più umano e meno clericale. Che il bel nome di Dio non sia bestemmiato per causa nostra! È bene non cercare il dominio sul mondo - grazie a Dio ci sta sfuggendo -, né avere il complesso della «cittadella assediata». Se il mondo non ci capisce e ci odia, impariamo noi a capirlo e amarlo, anche a costo di finire in croce. Concluderei con un suggerimento: più che imporre o deporre crocifissi dai muri, perché non ci proponiamo di deporre dalla croce tutti i poveri Cristi? E sono miliardi. Tutti quelli che noi del Primo mondo, cristiani e non, ci premuriamo di porre e mantenere in croce!

Silvano Fausti S. J.
Fonte: Popoli, 1 gennaio 2010

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