martedì 12 aprile 2011

Chi sono in dieci parole

Rincresce che la quarta di copertina non abbia resistito alla tentazione e snoccioli a chiare lettere: «Mosè, primo alpinista, è in cima al Sinai». In realtà, nell’ultimo libro di Erri De Luca - E disse (Feltrinelli, pp. 96, euro 10) - il nome di Mosè non compare anzi, la scena iniziale insiste nel porre sulle labbra di uno stravolto scalatore la domanda «Chi sono?». E questi non è in cima al Sinai, ma piuttosto «sul bordo dell’accampamento», cioè ai piedi della montagna. Del resto, nessuno dei personaggi contemporanei all’evento ed evocati dal racconto è chiamato per nome: solo alla moglie del condottiero scalatore è dato l’affettuoso soprannome di «Rondine».

Eppure è evidente a tutti che Erri De Luca ci sta narrando l’evento del «dono della Torah» alle tribù degli ebrei usciti dall’Egitto e chiamati a divenire popolo nel deserto, per poi entrare consapevolmente nella terra promessa. Questa immediatezza con cui il lettore colloca la vicenda nello spazio e nel tempo propri al libro dell’Esodo è significativa di quanto l’evento biblico fondante la fede d’Israele e il testo delle «dieci parole» faccia parte del nostro bagaglio culturale.
Così, con questa arguzia letteraria, De Luca ritorna a leggere - ma potremmo dire a riscrivere - il cuore di quel testo di Esodo/Nomi con cui aveva avviato nel 1994 la fissazione su carta della sua scalata nelle Scritture sacre. Un approccio alla Bibbia, il suo, da innamorato non credente ma attento alla fede degli altri e, soprattutto, alle parole che quella fede alimentano. E con questa passione quasi maniacale di scrutatore dello «sta scritto» - e con la sensibilità dell’alpinista che conosce ebbrezza e spossatezza di ascensioni e discese - l’autore costruisce il racconto attorno a un intreccio di identità che si illuminano reciprocamente.

L’interrogativo «Chi sono?» schiude le labbra di colui che quarant’anni prima aveva udito da un roveto ardente il Nome poi divenuto impronunciabile, quel «Io sono colui che sono», impoverito da ogni traduzione. Ed è l’identità di un popolo quella che viene a crearsi quando un’accozzaglia di «servi appena riscattati senza compravendita» assiste impietrita allo scolpirsi sulla roccia di parole che danno vita e indicano una strada buona ora e ancor più per le generazioni future.
Non è certo un testo di riflessione teologica o di approfondimento biblico, questo di Erri De Luca, ma una narrazione di stile sapienziale, una rilettura del messaggio di vita consegnato da Dio a Israele al Sinai, un’interpretazione capace di ridestare nel lettore echi di parole ascoltate e poi smarrite, ricostruzioni di vicende e «comandamenti» che oggi molti ritengono confinati negli anni infantili del catechismo, salvo poi ritrovarseli come pietre miliari di un vissuto quotidiano e perfino come fondazioni della costruzione di una società civile planetaria.
Sì, nel racconto biblico del Decalogo che narra Dio e dà identità a un popolo, anche il lettore contemporaneo può recuperare non solo brandelli di storie già note ma, più ancora, fili di senso per un’esistenza che, apparentemente così lontana dagli accampamenti nel deserto, si trova ogni giorno a far fronte a domande antiche come il mondo: Chi sono? Dove vado? Chi sono gli altri per me? Chi orienta il mio desiderio?

Enzo Bianchi

(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 19 marzo)

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